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martes, 17 de noviembre de 2015

Inchiesta sul falso olio extravergine: chi c'è dietro i marchi sotto accusa

Inchiesta sul falso olio extravergine: chi c'è dietro i marchi sotto accusa

Inchiesta sul falso olio extravergine: chi c'è dietro i marchi sotto accusa

 Carapelli, Bertolli e Sasso non sono più italiani dal 2008. Perché il food italiano fa gola agli investitori stranieri. L'esperto: "Il fatto che siano usciti fuori nomi grossi dell'industria olearia è un segnale: occorrono regole più rigorose. Le miscele sono la norma nei prodotti a basso costo"

ROMA - Semplice olio d'oliva spacciato per extravergine. È bufera su molte grandi aziende italiane, finite al centro di un’inchiesta dei Nas di Torino coordinata dal procuratore Raffaele Guariniello. Sul registro degli indagati sono stati iscritti per frode in commercio i rappresentanti legali di Carapelli, Bertolli, Santa Sabina, Coricelli, Sasso, Primadonna e Antica Badia. Tra i reati ipotizzati dalla procura subalpina c'è anche il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Sulla base di questa nuova ipotesi il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, ha disposto il trasferimento dell'inchiesta a Firenze, Genova, Spoleto e Velletri.

Ma chi c'è veramente dietro questi marchi? Gli storici brand dell'olio italiano Carapelli, Bertolli (toscani) e Sasso (ligure) non sono più italiani da un pezzo. Da principio, nel 2008, fu lo spagnolo Jesus Salazar, il re dell'olio spagnolo, ad accaparrarseli per farne le punte di diamante del suo gruppo Sos, poi Deoleo, sfruttando proprio il fascino internazionale del made in Italy. Ma di recente, però, anche la Deoleo, nei guai per difficoltà finanziare, ha cambiato proprietario. Il fondo inglese di private equity Cvc nell'aprile del 2014 ha rilevato la quota di maggioranza della holding spagnola. Un'operazione tormentata, che aveva visto persino il Governo spagnolo mettersi in mezzo per evitare l'acquisizione da parte di un fondo straniero di importanti marchi di olio nazionali. Poi, grazie anche al lavoro di intermediazione di Mediobanca (advisor unico di Cvc), la dura posizione governativa si è ammorbidita. Così il gruppo Deoleo ha cambiato padrone. E, con esso, anche gli italiani Carapelli, Bertolli e Sasso. D'altronde, dal latte al riso, dalla pasta alle conserve di pomodoro, il food italiano fa gola agli investitori stranieri. Negli ultimi 30 anni una fila impressionante di marchi italiani sono finiti nel carrello di multinazionali estere.

Quanto agli altri marchi nel mirino della Procura di Torino, l'olio Primadonna e l'Antica Badia sono distribuiti rispettivamente dalle catene Lidl e Eurospin. Il Coricelli è prodotto dall'oleificio omonimo di Pietro Coricelli (Spoleto), mentre il Santa Sabina è fabbricato da Colavita s.p.a., con sede a Pomezia (Roma).

In realtà il fenomeno della 'miscelazione' di oli di diversa provenienza non è nuovo. Il 'blending' ossia le miscele di oli sono consentite dalla legge. Anzi, l'industria olearia ha sviluppato una vera e propria "arte" nell'unire insieme oli vergini con profili diversi per ottenere un prodotto qualitativamente superiore. Molti oli, dunque, sono ottenuti mediante miscugli di prodotti comunitari con oli provenienti da Paesi extracomunitari. Il problema è che queste informazioni non sempre arrivavano chiaramente al consumatore. Ciò a sfregio del nuovo regolamento europeo 182/2009, che stabilisce l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del prodotto (come nell'immagine qui sotto).


Inchiesta sul falso olio extravergine: chi c'è dietro i marchi sotto accusa
Come stabilisce il regolamento europeo, il consumatore deve sapere da dove proviene l’olio che ha acquistato. E se si tratta di una miscela va chiaramente indicato come nell'esempio
Il nucleo di intelligence dell'Agenzia delle Dogane (che ha eseguito il panel test per il mensile il Test nel laboratorio di Roma), dal 2009 al 2013 ha redatto una serie di report da cui emerge l'attività di un cartello italospagnolo che tiene bassi i prezzi ed elude le regole sulla concorrenza. "Il prodotto messo in commercio non fa male alla salute, s'intende, ma è di scarsa qualità - ci confermano dall'Agenzia delle Dogane - Sugli scaffali dei supermarket arriva olio etichettato come extravergine di oliva con solo il 16% di prodotto italiano. Tanto per fare un esempio, l'olio tunisino entra alla nostra frontiera come olio vergine, sui cui i dazi sono inferiori". E poi si trasforma "magicamente" in extravergine grazie all'arte del blending.

"Partiamo da un semplice dato: può una bottiglia di olio extravergine essere venduta al supermercato a 3 euro al litro? Ovviamente no, perché un vero extravergine costa da 8 euro e 50 in su", ci spiega Amedeo De Franceschi, direttore della Divisione Sicurezza Agroalimentare (Naf) del Corpo Forestale dello Stato. Cosa c'è, allora dentro una bottiglia da 3 euro? "Semplicemente non c'è olio italiano - continua il capo dei Naf -. Basti pensare che nel 2013 la produzione di olio in Italia era pari a 500mila tonnellate. Nel 2014, l'anno nero dell'olio italiano, la produzione è crollata a 300mila tonnellate per un fabbisogno nazionale di 600mila, riferito al solo consumo interno. E allora per forza l'olio deve venire da Grecia, Spagna, Tunisia, Turchia.  L'indagine di cui si sta parlando in realtà è un campionamento fatto al supermercato, dopo la denuncia del periodico il Test. È stato fatto un semplice "panel test", facilmente contestabile dalle aziende interessate, ossia un'indagine sulle caratteristiche organolettiche dei prodotti basata solo su prove d'assaggio e olfattive (che comunque ha valore legale in base al regolamento comunitario 1348/2013, ndr). Noi adesso stiamo mettendo a punto un metodo di verifica più oggettivo per tracciare l'olio, basato sull'analisi del dna, che ci permette di riconoscere le cultivar. Il fatto, comunque, che siano usciti fuori nomi grossi dell'industria olearia è un segnale importante: il sistema deve capire che ci vogliono regole certe e rigorose".

Sull'attendibilità del panel test il dibattito è ampio. Il metodo, sostenuto dagli esperti di olio da un lato, viene contestato invece dai grandi big dell'industria olearia. Il problema di fondo per l'olio è che attualmente non esiste alcuna legge sulla tracciabilità, come ad esempio c'è per il vino. "Mentre per il vino sono vietate le miscele - conclude De Franceschi - nell'olio il blending, come abbiamo visto, è autorizzato. Gli unici oli per cui in teoria (perché le norme non lo prevedono) sarebbe possibile applicare la risonanza magnetica nucleare come si fa per i vitigni, sono quelli Dop, ma sono una minima percentuale del mercato".


 Fonte delle informazioni: La Reppublica

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