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viernes, 6 de mayo de 2016

L’unione tra Southern Wine & Spirits e Glazer’s, il primo e il quarto distributore di vini e spirits negli Usa...


Se i grandi distributori negli Usa si uniscono

L’unione tra Southern Wine & Spirits e Glazer’s, il primo e il quarto distributore di vini e spirits negli Usa (con un fatturato complessivo di oltre 15 miliardi di dollari) potrà avere grandi ripercussioni nel sistema di distribuzione di vino negli Stati Uniti ed è interessante capire le conseguenze per le nostre piccole e medie imprese



Se i grandi distributori negli Usa si uniscono
    Fabio Piccoli   

L’unione tra Southern Wine & Spirits, il primo distributore di vino e superalcolici negli Usa, con vendite che nel 2015 hanno raggiunto gli 11,8 miliardi di dollari (quasi 10,5 miliardi di euro) e Glazer’s, il quarto distributore con un fatturato di 3,7 miliardi di dollari (poco più di 3,2 miliardi di euro) ha generato un forte scossone nel sistema distributivo americano. Insieme le due importanti società di distribuzione, detengono un patrimonio di ben 150 milioni di casse di vino e spirits (1,8 miliardi di bottiglie!) vendute annualmente a 350.000 ristoranti e retailers negli Usa. Di fatto questa nuova società distribuirà vini e spirits in 41 Stati con una quota di mercato di oltre il 30%.
Tale unione ha fatto non poco rumore nel mercato del vino negli Usa, non a caso lo stesso autorevole magazine Wine Spectator, ha dedicato a questo argomento un interessante articolo nel mese di aprile nel quale alcuni autorevoli rappresentanti della distribuzione negli Usa commentavano le possibili conseguenze di tale fusione.

A partire, ovviamente, da Wayne Chaplin, il numero uno della neonata società Southern Glazer’s che ha sottolineato come il loro obiettivo sia quello "di creare una distributore nazionale e di cambiare il paradigma del "secondo tier". Come è noto, infatti, il sistema distributivo negli Usa è il cosiddetto modello dei "3 tier" (i tre passaggi obbligati) e cioè (azienda e/o importatore, distributore e retailer). Passaggi che, come ben sanno anche le aziende italiane che esportano negli Usa implicano notevoli costi e che fanno lievitare il prezzo della bottiglia dalla cantina allo scaffale della gdo o sulla tavola del ristorante.
Per Chaplin il primo benefit di questo accordo sarà una migliore efficienza e per le cantine più grandi la possibilità di semplificare moltissimo la logistica.

A questo riguardo, Sandra LeDrew, presidente di Treasury Wine Estates (che nel 2015 ha venduto 12,8 milioni di casse per conto di brand del peso di Beringer, Lindeman’s e Penfolds) ha dichiarato "Recentemente, i fornitori delle nostre dimensioni hanno dovuto investire moltissime risorse per arrivare a raggiungere rivenditori e ristoranti perché di norma i distributori non possono farlo su così larga scala".

Ma tutta questa concentrazione dei distributori comporterà una minore varietà di vini sugli scaffali? Conseguenza questa che sarebbe ovviamente nefasta soprattutto per il frammentato sistema produttivo italiano? Secondo gli intervistati da Wine Spectator sembrerebbe di no. Il Ceo di una società di medie dimensioni, che comprende una dozzina di cantine, ha infatti dichiarato che: "Ci sono tantissimi e diversi fornitori di vino, spirits e birra e ognuno di loro ha dei bisogni e delle necessità specifici". Ha poi continuato dicendo che: "Southern si sta evolvendo. Sebbene stiano diventando sempre più grandi, continuano a concentrarsi sull’essere più specializzati in modo da poter lavorare meglio per i loro fornitori".

Le cantine più piccole sono però, ovviamente, preoccupate. Il titolare di una piccola azienda californiana ha infatti detto che: "Già una piccola cantina non era tenuta in grande considerazione da Southern prima dell’accordo, figuriamoci adesso".

La spedizione diretta resta un’opzione valida (ovviamente purtroppo solo per le cantine statunitensi) per le cantine di minori dimensioni. Un’altra opzione è l’ondata crescente di piccoli grossisti. John Ragan, il direttore di Wine and Restaurant Operations per il Union Square Hospitality Group, a questo riguardo ha dichiarato a Wine Spectator: "Mentre le grandi società diventano sempre più grandi, si creano maggiori opportunità su una scala più ridotta. Infatti noi lavoriamo ora come ora con più di 100 distributori di vino e spirits".

L’assortimento è ciò che separa il vino da altri tipi di bevande. Secondo Charles Bailes, il CEO di ABC Fine Wine & Spirits, proprietario di 140 negozi in Florida, "i consumatori di spirits sono fedelissimi ad un determinato brand mentre abbiamo scoperto che gli appassionati di vino preferiscono esplorare e degustare moltissime tipologie diverse".

La fluttuazione dei prezzi è un altro motivo di contesa. I rivenditori più piccoli temono che unificazione sia sinonimo di minore concorrenza. Un rivenditore di successo del Nordest ha infatti dichiarato che "siamo decisamente vicini ad avere un monopolio qui. I prezzi si stanno alzando".

Molte altre fonti di Wine Spectator ritengono che, invece, la situazione non sia per niente come quella sopra descritta. LeDrew ha infatti ribadito che le grandi aziende vinicole come Treasury, hanno grandi vantaggi, maggior efficienza e costi ridotti, collaborando con lo stesso distributore in 41 Stati. Non bisogna però aspettarsi che i prezzi calino. Le fonti interne all’industria prevedono che ogni sforzo sarà dedicato al nuovo marketing ampliato.

Sarà ma non si può non essere preoccupati dal fatto che questa unificazione ha trasformato molte industrie mentre gli attori più piccoli sono spesso andati perduti nel processo.
Secondo Wine Spectator questo cambiamento può però significare nuove opportunità. Gli appassionati di vino andranno comunque alla ricerca della qualità – sono degli esigenti.

Il punto quindi è come riuscire a far aumentare il numero di wine lovers negli Usa e questo non è certo un compito di poco conto, soprattutto per piccole e medie imprese. Qui l’aggregazione ancora una volta sarà fondamentale.                      


Fonte di informazioni: Wine Meridian

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