Australia is back, il ritorno di un temibile competitor
Quindici anni fa sembrava dovesse diventare il più importante produttore di vino al mondo, poi, a partire dal 2007, una profonda crisi ha ridimensionato moltissimo le ambizioni del vino australiano, oggi i numeri ricominciano ad essere positivi e i progetti di sviluppo sono più realistici
Quando, circa a metà degli anni 90, l’Australia presentò il proprio programma di evoluzione del comparto vitivinicolo ("Wine Australia: Vision 2025"), siamo onesti, quasi tutti addetti ai lavori, compreso chi scrive, si spaventarono non poco. In estrema sintesi gli australiani si proponevano di diventare il principale player sui mercati internazionali grazie sostanzialmente a tre fattori molto importanti: la costruzione di una produzione enologica totalmente basata sugli stili di consumo (dimmi che vino vuoi e io te lo faccio su misura) e senza i vincoli della vecchia Europa (diritti di impianto, disciplinari di produzione, ecc.); l’estrema semplificazione della comunicazione (pochi vini varietali contro la complicazione della miriade di denominazioni soprattutto della vecchia Europa); la concentrazione della produzione in poche mani al fine di garantire masse critiche adeguate ai mercati mondiali con idonee e mirate strategie di marketing.
Per noi che in quegli anni eravamo ancora preoccupati riguardo le nostre eccedenze produttive, l’incredibile polverizzazione del nostro tessuto produttivo e guardavamo alle nostre doc, docg più come a vincoli burocratici che a strumenti di posizionamento, reputazione e vendita, ci sembrò che la ricetta australiana fosse veramente vincente.
Poi la storia è andata diversamente a dimostrazione che il vino e i mercati del vino rispondono male a molte logiche tradizionali del marketing, delle evoluzioni dei consumi.
Perché velocemente l’Australia raggiunse alcuni degli obiettivi che si era prefissata (ad esempio i 4 miliardi di dollari di valore dell’export), ma soprattutto a partire dal 2007 iniziò un declino che in soli cinque anni l’ha vista perdere oltre un miliardo di dollari sul fronte export.
Una perdita di competitività enorme che ha portato l’Australia a rivedere fortemente la sua strategia e oggi risulta molto interessante capire meglio anche per il nostro sistema vitivinicolo il cambio di rotta del competitor australiano.
E per capirlo meglio un’occasione straordinaria è stata il 26 ottobre scorso a Conegliano, la relazione di Tony Battaglene, general manager della Winemakers Federation of Australia invitato dal prof. Eugenio Pomarici del Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (TESAF) e del Centro Interdipartimentale per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia (CIRVE) dell’ Università degli Studi di Padova - che ha illustrato le nuove strategie di marketing e di innovazione per il comparto vitivinicolo australiano.
Sono talmente tanti e importanti gli spunti presentati da Battaglene che abbiamo deciso di presentarli in più articoli perché meritano riflessioni più approfondite per l’impatto che potrebbero avere anche sul nostro settore.
Innanzitutto Battaglene ha confermato che alcuni presupposti sui quali l’Australia aveva impostato il suo programma di sviluppo si sono dimostrati errati a partire dall’idea che pochi player produttivi sarebbero stati ideali per gestire al meglio l’immagine e il posizionamento del vino australiano nel mondo (purtroppo è stato così ma con valori estremamente bassi e poco remunerativi per le imprese) e che il mercato anglofono, Regno Unito in primis, sarebbe stato sufficiente da solo per sostenere l’economia vitivinicola del Paese.
In estrema sintesi, la nuova "ricetta" australiana, si potrebbe condensare nelle seguenti azioni:
1) innanzitutto mettere insieme tutte le 4 principali organizzazioni del vino australiano (Winemakers Federation of Australia, Wine Grape Growers Australia, Australian Wine and Brandy Corporation, Australian Grape and Wine Authority, Grape and Wine Research and Development Corporation) in quella che oggi è l’Australian Grape and Wine Authority per definire insieme una strategia comune. Se pensiamo, ad esempio, da quanti anni in Italia stiamo discutendo su una fusione tra Unione Italiana Vini e Federvini….già questo basterebbe per capire l’importanza di una strategia di questa natura. Una fusione che come ha sottolineato Battaglene frutta un risparmio di 750.000 dollari all’anno! La nuova Authority sta oggi gestendo le risorse per la ricerca del settore che nel periodo 2015-2020 è prevista in ben 120 milioni di dollari. A queste vanno aggiunti 28,8 milioni di dollari per la promozione. Si tratta di risorse tutte finanziate dal mondo produttivo attraverso un preciso contributo legato ai quantitativi prodotti e/o esportati;
2) ricostruzione dell’immagine e reputazione del brand Wine Australia a partire dal recupero di prezzi remunerativi soprattutto sui mercati Usa e Asia;
3) supporto alle piccole-medie imprese del vino australiane come nuova base portante dello sviluppo del posizionamento del vino australiano nel mondo;
4) maggior investimento anche nei brand territoriali pur con una forte semplificazione dei messaggi (tradotto in nessuna rincorsa ad una eccessiva proliferazione delle denominazioni).
Sono alcuni dei punti salienti del nuovo piano che approfondiremo anche in prossimi articoli.
I primi segnali di questa nuova impostazione sono però già abbastanza eloquenti: negli ultimi 12 mesi l’export è cresciuto dell’8% (1,96 miliardi di dollari australiani), la crescita maggiore che riporta la situazione al 2007. Si può proprio dire che Australia is back, non possiamo non tenerne conto.
Fonte informazzione: WineMeridian
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