Come costruire un brand di successo in Cina, tra leggi, cultura e social
Alcuni preziosi consigli operativi di Lulie Halstead, ceo di Wine Intelligence, che da molti anni monitora il più interessante ma anche il più difficile mercato del vino attuale

Riguardo ai social media – ha sottolineato la Halstead – in Cina sono una vera e propria "mania". E chiunque abbia avuto esperienze su questo mercato sa che i cinesi stanno incollati ai loro smartphone in maniera quasi ossessiva. Anche mentre si fanno le degustazioni continuano a commentare, ad esprimere le loro impressioni tramite i social. In particolare sono strumenti di comunicazione che hanno un peso determinante per le giovani generazioni. Non a caso nel Wine Intelligence China Internet e Social media report è emerso in maniera chiara quali sono gli utilizzi che i giovani cinesi fanno dei social media riguardo al tema vino.
Al primo posto la risposta è stata "seguire i brand che mi piacciono", al secondo "riprendere argomenti interessanti sul vino e condividerli con le persone che conosco", al terzo "apprendere informazioni tecniche riguardo al vino", al quarto "sentire, leggere opinioni di persone che condividono il mio stesso interesse", al quinto "essere aggiornati su sconti e promozioni".
Aspettative molto importanti, pertanto, che fanno capire quanto indispensabile sia non solo conoscere le modalità di utilizzo dei social tra in consumatori di vino in Cina ma anche veicolare contenuti efficaci, chiari in grado di soddisfare i loro fabbisogni informativi. Non è un aspetto semplice, soprattutto per noi italiani, alla luce di un’offerta enologica così vasta e di una miriade di peculiarità non sempre facili da comunicare.
A conclusione di questa tema la Halstead ha ricordato che attualmente in Cina sono ben 600 milioni gli utilizzatori mensili di WeChat (oggi il social più utilizzato in questo grande Paese) e Weibo con 212 milioni di utilizzatori attivi al mese (in particolare tramite smartphone).
Molto interessante il capitolo dedicato dalla Halstead alle regole più importanti per costruire un brand enologico di successo in Cina.
In estrema sintesi, la ceo di Wine Intelligence, ha sottolineato che per un "successful wine brand" in Cina vanno soddisfatti i seguenti requisiti:
a) il marchio (trademark) che è il primo elemento che deve influire positivamente sulla fiducia dei consumatori e rassicurare subito sulla qualità del vino;
b) il brand cinese che deve consentire il riconoscimento del marchio:
c) l’etichetta frontale, la prima cosa che i consumatori vedono sugli scaffali che deve orientarli facilmente rispetto a ciò che si trovano di fronte, farli percepire la qualità del prodotto e dar loro la corretta percezione su prezzo e posizionamento (un tema questo spesso sottovalutato dalle aziende anche sul mercato domestico ndr);
d) la retro etichetta deve riportare le informazione più importanti in grado di rafforzare la fiducia e migliorare la comprensione del marchio e del prodotto.
Messa così non sembrerebbe così difficile, i problemi nascono dal fatto, non dobbiamo mai dimenticarlo, che siamo in Cina dove sia le normative che le "percezioni" dei consumatori sono molto lontane dalla nostra cultura, dalle nostre attitudini.
Su questo fronte, pertanto, sono state molto utili le indicazioni della Halstead su come "sviluppare un proprio brand cinese".
Questo brand dovrà avere le seguenti caratteristiche:
- essere unico e protetto dalla Chinese trademark registration (ad esempio sono state trovare in Cina per 50 diverse traduzioni del famoso marchio dell’azienda californiana Opus One);
- essere coerente al valore del marchio e al suo posizionamento;
- essere facile da ricordare e soprattutto da pronunciare.
E riguardo quest’ultimo punto sono tre le strade che si possono seguire:
- omofonica, cioè un nome che in cinese ha un suono simile ad un brand occidentale ma non ha relazioni semantiche;
- letterale, cioè un nome cinese che è la diretta traduzione del nome occidentale;
- simbolica o brand di connessione, cioè un nome che in cinese è in grado di generare sensazioni, idee o simboli simili pur avendo un sound diverso o anche diversi significati letterali.
Riguardo a quest’ultimi aspetti molto interessante (l’approfondiremo in un altro articolo a breve) l’esperienza di Zonin1821 che in Cina ha definito una propria strategia di sviluppo anche attraverso la costruzione di prodotti appositamente ideati per quel mercato con uno studio dei nomi frutto anche di una importante ricerca svolta in collaborazione con Wine Intelligence che ha portato, ad esempio, alla definizione del vino Velluto (con il brand cinese Weilu in questo caso utilizzando la strada omofonica) con un etichetta softouching in grado di evidenziare ulteriormente il significato del nome e le caratteristiche del vino.
Per quanto concerne l’etichetta frontale la Halstead ha presentato una interessantissima esemplificazione di come lo stesso brand presentato in diverse soluzioni grafiche possa determinare agli occhi di un consumatore cinese una diversa percezione, dal "prestigioso", all’"elegante contemporaneo", al "classico moderno", all’"eclettico".
Ma ancor più importante, per un mercato così giovane e per consumatori ancora poco competenti, è la retro etichetta che deve essere in grado di dare informazioni "customizzate" cioè capaci di dare risposte chiare ed esaustive ai clienti potenziali e soprattutto essere coerenti la cultura di questo Paese.
Molto utile, a questo proposito, la ricerca di Wine Intelligence su quali sono le descrizioni dei vini preferiti dai cinesi (ricerca su consumatori abituali di vino importato della middle class).
Di seguito riportiamo le prime 10 più frequenti descrizioni:
- Ricco (inteso come succoso, caldo) e morbido;
- Gusto ricco (intenso);
- Dolce;
- Fruttato;
- Fragrante;
- Equilibrato tra dolcezza e acidità;
- Molto persistente;
- Leggermente acido;
- Leggermendte dolce;
- Vino rosso secco.
Infine, ma anche questo spesso viene dimenticato, gli aromi scelti per la descrizione dei vini devono essere coerenti alla reali percezioni di un consumatore cinese. E sempre dalle sopramenzionata ricerca sono emersi i primi 20 aromi percepiti dai consumatori cinesi intervistati: rosa, ciliegia, vaniglia, mela rossa, fragola, miele, pesca, legno, limone, menta, mango, lici, lavanda, lime, cioccolata, foglia di the al gelsomino, guava, cocco, pera e buccia d’arancia.
Algunas reflexiones sobre tus comentarios:
1. Dices “hay que cambiar la estructura comercial de las bodegas españolas para conseguir salir a encontrar compradores, en lugar de, como venimos haciendo hasta ahora, esperar a que llamen a nuestra puerta para comprarnos.”..
Mi comentario es contrario a esa opinión. El vendedor debe cubrir una necesidad. Por tanto debe ser activo pero no persiguiendo al comprador si no informando, creando imagen y marca, siendo serio, estando presente físicamente y por internet en los diferentes lugares de encuentro (ferias, foros,…)
Sobre lo anterior una experiencia de hace unos 15 años. Viajando por la zona de Gascogne-Euskadi Norte, es decir Francia tocando a la frontera española , una propietaria de una tienda en franquicia amante de los vinos y del Rioja me comentaba el deconocimiento sobre la D.O.C. Rioja que tenían sus clientes (que están a 100 km de distancia en promedio de la D.O.C. Rioja)
¿Sorprendente? Miremos la situación del otro lado. ¿Que sabe el consumidor desde España de los interesantes vinos de esa zona como por ejemplo el Malbec producido en Cahors o de los vinos de Madiran basados en la variedad Tannat o ,más lejanos, de los excelentes vinos de Savoie/Saboya?
2. Dices “Producir a precio puede ser una alternativa para algunas bodegas y viticultores, pero nunca (en mi opinión) puede ser un modelo para un país, regiones o provincias como las españolas.”
Entiendo que al hablar de “producir a precio” te refieres a precios bajos. ¿Es esa la realidad del vino español? Sí cuando se miran las estadisticas de precios de las exportaciones globales. Sin embargo cuando uno va a la vinoteca o incluso en las grandes superficies la oferta de vinos en precio suele estar por encima de los 6 euros/botella.
Un consumidor normal quizás pague excepcionalmente vinos de 6 euros para arriba basado en su conocimiento de la bodega y en la ilusión por el producto, pero el consumo del vino cotidiano dentro de España no puede estar basado en precios altos sino en precios justos, medios (gama de 3 a 7 euros/botella) o bajos (2 a 3 euros/botella) o altos (por encima de los 7 euros) pero como acto excepcional y complementario a las gamas de vinos con precios más razonables y siempre que la calidad (buen vino, producciones limitadas, taponado de calidad, etiquetado atractivo, historia de marca,…) justifique ese sobreprecio
Orígen información: SalvadorManjon.com